Giuseppe Previtali è nato a Bergamo il 21 ottobre 1949 . Nel 1956 arriva a Fidenza dove risiede fino al 1991, anno in cui si trasferisce a Salsomaggiore, comune in cui vive e lavora come biologo.
Ha iniziato a dipingere molto giovane, da autodidatta, osservando artisti come Kandinsky e Van Gogh. Nei primi anni ’70 frequenta “la bottega di Mitri”, nome che a Fidenza identificava un negozio di cornici dove s’incontravano artisti di diversa estrazione culturale per confrontarsi su tematiche che spaziavano dal figurativo all’informale fino all’arte concettuale.
Nel 1976 si trova per lavoro a Chiavenna (SO) e si trova immerso in un clima artistico molto effervescente dove la cultura mediterranea incontra quella mitteleuropea nella vicinanza con il cantone svizzero dei Grigioni. Qui frequenta lo studio della pittrice Wanda Guanella allieva dello svizzero Willy Varlin.
Di recente però la ricerca artistica, in continua evoluzione, ha portato Previtali ad avvicinarsi alla ceramica raku nell’atelier bolognese “ Paese dei balocchi”, sotto la guida della scultrice Simona Ragazzi e della ceramista Roberta Angelin
Una ciotola piena di vita
Sembrerebbe non esserci relazione alcuna tra il Previtali artista esistenzialista che richiama i dimorfismi di Francis Bacon, le evanescenze pittoriche di Zoran Music, le malinconie e le irrimediabili solitudini di Munch e il Previtali dai colori vibranti dei pesci, dalle rifrazioni lucenti del raku, delle ciotole zen. Ma il legame è proprio nel titolo enigmatico della mostra, nella fiaba che narra di un saggio e del suo allievo, nella tazza vuota che aspetta di essere riempita. Di cosa? Di vita. Anzi, del mistero della vita. Che, insegnano gli orientali, è nelle cose semplici, come trarre l’acqua dal pozzo e portare legna.
Allora tutto questo percorso nell’introspezione e in una dolorosa impotenza davanti al passare del tempo e delle cose, queste “ombre in cammino, poveri attori che si agitano e pavoneggiano per la loro ora sulla scena del mondo e poi non se ne parla più” come fece dire Shakespeare a Macbeth, queste figure menomate nel corpo dal timore del sartriano sguardo altrui, fragili sulla scena vuota, sul palco desolato (il clown, il giocoliere, il pierrot), spente le luci della ribalta, dove vanno a finire? E tutti costoro con l’occhio fisso, insistente a chiedere risposta a noi (e noi a loro)? Tutti vanno per prendere acqua e trovano legna. Legna per fare fuoco e cuocere un vaso-anima imperfetto, ferito, suturato e quindi mettervi l’acqua, i sogni e il cielo dove volano persino i pesci.
Non trovi mai quello che pensi di cercare, ma quello che sei. Non quello che t’aspetti, ma quello che già ti aspettava nella penombra sfuocata di una soglia, nell’ala d’un passero ricurva nel tentare la libertà, nel faticoso slancio prima del volo. La ricerca di Giuseppe Previtali non è finita, non finisce mai. E’ una sonda nell’interiorità, l’attesa solitaria e paziente del pescatore. La ricerca è la ragione dell’arte e della vita. Infatti solo perdendosi ci si trova, facendosi altro da sé si comprende la bellezza. Come insegna la tecnica orientale a inchiostro su carta del Sumi-e, di cui abbiamo alcuni suoi lavori, si crea immedesimandosi con quanto si vuole rappresentare, sia esso uno stelo di bambù, un martin pescatore, un ramo fiorito. Perché siamo fatti di pochi tratti d’eternità che tuttavia non c’appartengono. Le shakespeariane “ombre in cammino” allora diventano fiori, uccelli, pesci, vibrazioni di colore, segni leggeri, sogni da riempire. Ciotole vuote di noi. Piene di tutto. Del liquore migliore. Il dono.
Tutto ciò che non è donato è perduto.
Manuela Bartolottiooo