CONFINI

Project Description

CONFINI
di Roberto Taddei 


A mente fredda, è singolare come l’arte possa avere talvolta quelle capacità precognitive che, dalla sua, sappiano inserirla perfettamente nel momento storico in cui si sviluppa: in questo senso, il titolo della mostra - CONFINI - si potrebbe far scudo proprio di questa supposizione, riflettendo su quanto la pandemia ci abbia forzati a individuare un nostro privato spazio vitale incondivisibile con gli altri; oppure, soprattutto alla luce degli ultimi tragici avvenimenti bellici, come l’idea stessa di “confine” porti con sé tutta una serie di prerogative storiche, politiche, economiche, geografiche, sociali e culturali di più ampia e complessa comprensione.
Eppure, il condizionale è d’obbligo in questo caso poiché il confine di cui tratta l’ultima fatica espositiva dell’artista italiano Roberto Taddei è invece quel limite individuale che - sì, spazio vitale o conquista che sia - analizza con consapevolezza il proprio operato in un lasso di tempo ormai stabilito, definendone le tappe per poi procedere verso il futuro.
L’idea di questa mostra nasce dunque dall’analisi delle caratteristiche proprie di Taddei - o almeno da quelle che l’hanno contraddistinto fino a ora: quindi una tecnica incredibile, una verosimiglianza stupefacente, un’assoluta consapevolezza di quel mondo che chiamiamo sensibile - cioè percepito, interpretato e vissuto dai sensi - che egli decide talvolta di ingannare, talaltra di assecondare, in un reciproco scambio di informazioni per cui il tratto inchiostrato diventa plausibile a dispetto della sua natura effimera.
Più d’ogni altra cosa però, questo vuol dire prendere le distanze da quell’iperrealismo che, solitamente, a lui viene riferito.
Il motivo è che nel suo lavoro non v’è iperrealismo alcuno: o almeno non nel comune senso con cui si voglia intendere. Il quale, premessa d’obbligo, raramente ha nelle sue estreme qualità estetiche anche un impianto emotivo degno di nota. Anche volessimo considerare le sue opere come tali, a dirimere la questione basterebbe la scelta di utilizzare una tecnica inconsueta come è quella ottenuta con la penna bic, direzionando la nostra attenzione più verso un’interpretazione personale della “natura” che verso una sua replica spesso glaciale. E poi, quando mai la Natura è stata in bianco e nero? Forse che non sia consegnato al disegno la possibilità di evocare, attraverso il chiaroscuro, quell’emotività dell’istante del tutto metabolizzata dalla sensibilità dell’individuo? E quel taglio visivo tremendamente fotografico e ricercato non è degno forse della miglior pittura - la quale, come è ben noto, non è che una rappresentazione mimetica della realtà, per dirla alla Aristotele? Ecco allora che Roberto si veste di pittura e disegno per ricreare il suo personalissimo universo di soggetti, fatto di intrecci arditi di tessuti, di impalpabili liquidità e trasparenze, di mani che si legano, di giochi di sguardi dalla forte umanità. Questo perché egli ha bisogno di “sentire” il soggetto che decide di ritrarre, faticosamente e con un grande dispendio di energie e di tempo: egli deve infatti viverlo in prima persona, percepirne e condividerne le sensazioni per poi trasferire questo rapporto privato sulla carta, con i pregi e i difetti di un mondo in cui l’errore è una delle poche certezze.
L’errore, infatti, è altra matrice fondamentale del suo lavoro: un errore che, probabilmente, determina in maniera ancor più precisa l’operato di Taddei.
L’errore è ciò che definisce l’essere umano.
È ciò che ci rende vivi.
È ciò che Roberto si porta dietro pur sapendo che sia la sua tecnica a temerlo più di tutto.
Sempre vigile, essa gli impedisce di abbandonarsi alla stanchezza, sia fisica che mentale; e lo controlla in ogni istante, facendogli spesso perdere il contatto con la realtà - un po’ come fa il marmo quando decide in autonomia cosa lo scultore dovrà rappresentare con esso e da ciò il malcapitato non riuscirà più a scostarsi.
L’errore invece è proprio ciò che Roberto si affianca nel momento del bisogno, in quell’istante in cui la penna prende il sopravvento: è allora che l’artista impone con questo la distanza tra i due. Infatti, troverete in mostra differenze rilevanti tra opere che si sono innamorate del soggetto ritratto in un rapporto intimo e segreto; e lavori che invece hanno trovato una propria ragione di vita nella tecnica portata verso l’alto: al visitatore individuare quali, tra quelle presenti, rappresentino o meno tale dualismo, trovando nell’una o nell’altra ipotesi anche una propria affinità estetica.
Con la certezza, però, che sia sempre e solo Taddei: alle volte meraviglioso al punto che gli occhi non vorranno credergli; altre invece più interessato al momento, con la linea e il tratto che tornano protagonisti dopo l’ubriacatura formale, dimentichi dell’inganno che l’arte porta con sé.
Qui sosta un altro confine: nello specifico, il vostro, di voi che leggerete questo testo e visiterete questa esposizione. Dove siete? Per chi parteggiate? Mente, cuore, occhio? E riuscirete a superare questi limiti? Accetterete di buon grado ciò che la sensibilità vi avrà consigliato oppure deciderete di evadere e andare oltre? Ovviamente, non c’è una risposta migliore di altre né ce n’è una sola.
Infine, esiste un fil rouge che possa essere d’aiuto nella lettura delle opere di Roberto?
Oppure sono solo il risultato spurio di una selezione senza logica?
Ovviamente un po’ l’una e un po’ l’altra: la logica spesso è totalmente inutile in arte - ed ecco l’emotività privata delle sue donne, la certezza dei loro corpi, lo sguardo sicuro di suo nonno che lo accompagna ovunque come un portafortuna; ma c’è anche la volontà di proporre una “prima scelta” che, per soggetti e dimensioni, sappia insinuarsi nella mente dell’osservatore, evidenziando le stupefacenti capacità di un quotidiano finalmente simbolo: una cena fin troppo silenziosa, le mani di un pescatore intente nel loro prezioso lavoro, il suono di un’anima travolta dagli eventi che “quando non sai cosa è, allora è jazz”.                                                                         Francesco Mutti