L'eterna metamorfosi

Project Description

E’ come entrare in una Wunderkammern cinquecentesca visitare la mostra di Giuseppe Porfilio, autore reggiano di opere insolite e sorprendenti che non si riescono collocare artisticamente se non avvicinandole ad un’operazione creativa futurista e surreale, tra le macchine boccioniane e le ibridazioni concettuali di Duchamp.

Entomologo prima ancora che costruttore, scienziato prima che artista, Porfilio mescola  leonardescamente  le discipline per realizzare creature metà natura e metà artificio, in parte corpo e in parte meccanica. I suoi insetti (prevalentemente scorpioni, cervi volanti, scarabei, ma anche libellule, falene) sono conservati ed esposti in tutta la loro arcana bellezza, ma arricchiti da ingranaggi, così da dissimulare la realtà e renderli ambigui monstra che, nel senso latino di meraviglie, superano il rigetto normale di molti per queste creature, acuendo la curiosità e lo stupore. A questo contribuisce sicuramente la loro ambientazione e mise en scène evocativa accentuata dai titoli, ma anche la collocazione entro campane di vetro a custodirli ed insieme rinforzarne l’effetto di forme preziose, intoccabili e  misteriose. Porfilio insiste sulla legge darwiniana dell’adattamento per la sopravvivenza, sulla capacità di trasformarsi e assecondare l’inesorabile cambiamento. La metamorfosi (da bruco a farfalla) e il mimetismo (insetto stecco ad esempio) sono stratagemmi adottati da tanti animali, ma in primis dagli insetti, quelli che, come scrive il Prof. Vittorio Parisi nell’introduzione al catalogo, saranno i futuri dominatori del mondo, perché in grado di adeguarsi a tutte le condizioni, grazie alla loro versatilità biologica. Così, anche la violenza esterna prodotta dall’uomo, quella tecnologica e industriale, l’arma artificiale, viene da essi opportunamente assimilata e utilizzata per resistere. In un rivolgimento geniale. Morale della favola: se sai adattarti, quello che altrimenti ti dovrebbe distruggere, invece ti salva.

Artificio e natura dunque si fondono e quasi si contendono il primato della bellezza: gli orpelli tecnologici di cui anche noi ci graviamo e che ormai sono parte della nostra corporeità, migliorano o peggiorano la nostra esistenza? Oppure, proprio come quelli sugli insetti, sono solo ingranaggi superflui di orologi e tempi inceppati, mentre l’effimero dei corpi, con tutta la sua variopinta meraviglia, persiste in eterno, contraddicendo la prevedibile dissoluzione naturale? A far questo è proprio quell’arte che perpetua la natura, aggiungendo il meccanismo di un pensiero, il gioco della metamorfosi, l’ironia della vita. Così facendo, l’artista infrange anche una certa sacralità che imporrebbero le campane in vetro e richiama invece, come ha osservato Marzio Dall’Acqua nel catalogo, le commistioni enigmatiche che Duchamp aveva definito “macchine celibi”, da ammirare senza pretesa di coglierle, di capirne l’utilità e il senso, da osservare senza profanarne l’imperscrutabilità. Restiamo spettatori di un incantato mistero. Gli insetti sono metafora di noi, del nostro esistere, del nostro tentativo di sopravvivere. Anche se  siamo parte di tutto questo, di un micro e macroscopico congegno universale, troppo spesso non ce ne rendiamo conto. E’ compito dell’artista suggerircelo, creando contrasti, mescolando cose incongruenti, diverse, così da far riflettere, disturbare, incuriosire. Infine, introdurci con i suoi mirabilia nel territorio incerto, pericoloso, instabile della rivelazione, della natura. Proprio come nello scorpione, in cauda venenum (nella coda è il veleno). Ma anche la verità.

 

video della mostra su Youtube 

Il video della mostra su Youtube