Ferrari


Ferrari


 
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STEFANO FERRARI

Stefano Ferrari è nato a Sant'Ilario d'Enza (RE) nel 1956. Ha conseguito la Maturità classica e la Laurea in Architettura a Firenze. Ha sempre svolto la professione di architetto e contemporaneamente di pittore, iniziando a dipingere fin da bambino.
Grazie alle assidue frequentazioni di artisti amici di famiglia, ha ricevuto una preparazione “da bottega” ed un orientamento in cui lo studio dal vero è stato fondamentale. La sua formazione è stata poi integrata dall’insegnamento della Storia dell'Arte nelle scuole, la lunga permanenza a Firenze e lo studio approfondito della cultura rinascimentale in uno dei luoghi dove essa si è sviluppata. Oggi le sue opere con architetture viste o sognate, partite da un approccio realistico e figurativo, s’indirizzano spesso verso l’astrazione, privilegiando sempre più questa modalità espressiva. Tra le mostre più significative, vanno segnalate: la prima personale nel 1979 alla Biblioteca Comunale di Sant'Ilario d'Enza (RE) e una seconda vent’anni più tardi (1999). Nel nuovo millennio, dopo la partecipazione ad alcune collettive a Reggio Emilia (2004), a Rimini e a Locarno in Svizzera, ha tenuto prevalentemente esposizioni personali, a Bologna (Galleria d’arte 18 nel 2008), alla Villa Ducale di Frosinone nel 2009, quindi 3 mostre a S. Ilario d’Enza, a Parma e alla Rocca di Noceto (tra il 2014 e il 2016). Esclusa la collettiva del 2017 a Palazzo dei Capitani ad Ascoli Piceno, le ultime due mostre personali risalgono al 2018, con l’originale rassegna di opere astratte trasferite su tessuto all’atelier MIA di S. Ilario e al 2019 alla Galleria Ottagono di Bibbiano (RE).

 

                              Se si pulissero le porte della percezione,
ogni cosa apparirebbe all'uomo qual è: infinita.

(W. Blake)
         

 

È ineludibile l’influenza del suo mestiere d’architetto nella pittura di Stefano Ferrari; persino le pennellate sono stese come materiale da costruzione, travi, mattoni, pietre ad edificare la realtà. E poi i muri, le città antiche e fortificate, radicate nella terra, custodi della memoria, presidi inespugnabili dei sogni. Perché dietro queste mura o rocce che sono concrezioni di ricordi c’è la luce, il colore che si agita, la fuga in tutto il possibile. Anche nelle opere d’astrazione, le stratificazioni geometriche, la calce del tempo si sovrappongono e s’accumulano su macerie di emozioni sparse che riescono ad affiorare in brecce colorate, spezzando l’opacità e schiudendo cangianti mutevoli universi. Basta una pennellata blu su quello che pare il legno di una barca, per ritornare al mare, basta l’apparizione confusa di forme rocciose per rievocare una passeggiata tra monti, un viluppo di verde, di giallo vorace e rosa carnoso per far percepire la forza della natura in una pianta carnivora. Del resto l’astratto è sintesi e suggestione, rimandando non alla ragione, ma spezzandone la chiara determinazione, per andare oltre, nel territorio ambiguo dell’anima. La nostra autentica memoria - del resto ormai lo sappiamo - è costruita su emozioni e noi ricordiamo o capiamo qualcosa se l’abbiamo sentito, se almeno per poco c’è risuonato dentro. Sulla tela l’artista riporta quest’eco.
Dinnanzi a noi è il famoso velo di Maya teorizzato da Schopenhauer, costituito da strutture materiali, concrete finzioni, tangibili illusioni. Allora dietro questi muri, dietro le “porte della percezione”, come ha scritto William Blake, il mondo ci appare infinito. Ferrari ce lo svela in particolare nell’opera “Colpo di vento”, dove tutte le impalcature crollano, i sipari dell’apparenza si sollevano per mostrare il caleidoscopio del possibile, il caos della libertà e della bellezza dove ci si perde e dove ci si trova infine, per sempre.  
                                                                                                                                                                                                                                      Manuela Bartolottio